8 aprile ore 19:30 Italia il fuoco, la cenere
Italia il fuoco, la cenere
Regia: Olivier Bohler, Celine Gailleurd
Durata: 94’
Una carrellata attraverso il cinema muto con i commenti di chi lo ha conosciuto da vicino.
Che cosa resta del cinema muto italiano? Moltissimo, recuperato dai ricchi archivi dell'Istituto Luce e dalle cineteche di mezza Europa. E molti ricordi dell'epoca sono affidati alle parole di chi quel cinema l'ha fatto o raccontato in tempo reale, da Giovanni Pastrone a Lyda Borelli, da Francesca Bertini a Luigi Pirandello, da Antonio Gramsci a Salvador Dalì. Céline Gailleurd e Olivier Bohler, ricercatori e docenti francesi esperti in cinema delle origini, intessono un arazzo formidabile di immagini (inframmezzate da intertitoli) e parole (narrate in voce fuori campo da Isabella Rossellini nella versione italiana e Fanny Ardant in quella francese), ricostruendo un mondo e un'epoca, dalla fine dell'800 al primo ventennio del '900.
"Il cinema muto italiano è stato uno dei più creativi dell'epoca", scrivono i registi. "Con l'avvento del sonoro quelle pellicole sono state dimenticate, perse o distrutte". Ed è dunque prezioso il loro lavoro storico e filologico di ricostruzione, recuperando per lo più bobine in nitrato miracolosamente sopravvissute e gelosamente custodite da esperti e amatori.
Una carrellata emozionante che vede la visita di Re Umberto e il funerale di Giuseppe Verdi, le tragedie di Shakespeare portate sul grande schermo da una produzione che allinea Roma, Napoli e Torino e che, secondo Pirandello, profanava indegnamente la letteratura sostituendo alle parole il gesto e l'azione (ma lo stesso Pirandello elogerà le immagini che documentano paesaggi lontani, o i viaggi in treno attraverso la Sicilia).
Perché agli inizi il pubblico che ammirava "quel mondo spiritualizzato ridotto al minimo, fatto con la materia più eterea ed angelica, simile al sogno" amava il "cinematografo", ma molti - ad esempio gli attori "strappati alla comunione diretta col pubblico teatrale" e privati della loro voce recitante - consideravano con ostilità quella novità tanto gradita alle masse delle quali "il cinema può sfruttare il movimento". Le immagini ci ricordano il rapporto con la magia, il trucco, l'illusione, e l'ossessione con la morte, oggetto del cinema muto, ma anche sua rivale nel creare immagini incorporee ed immortali".
Giovanni Pastrone e il fuoco, Luigi Maggi, Enrico Guazzoni, Emilio Ghione e poi le dive del muto, la "cavalleresca arroganza" di Za la Mort, le immense scenografie di Cabiria con cui Pastrone "voleva dimostrare che la cinematografia è un'arte" e attraverso le quali inventava la prima carrellata della storia. Inquietanti le immagini dell'Inferno dantesco, sensualissimo l'excursus sulla fotogenia della carne e sull'erotismo di certe scene madri, solo pochi anni dopo soppiantato dalla pruderie fascista.
Immagini che, come dicono i due registi, "incarnano tutta la memoria del cinema e la fragilità stessa di questa memoria, la sua bellezza splendente e la sua inesorabile decomposizione". Un mondo (quasi) perduto di cui è bene ritrovare il ricordo, perché da quelle ceneri è nato tutto il cinema a seguire.