IDDU

L'ULTIMO PADRINO

 

Sicilia, primi anni 2000. Dopo alcuni anni in prigione per mafia, Catello, politico di lungo corso, ha perso tutto. Quando i Servizi Segreti italiani gli chiedono aiuto per catturare il suo figlioccio Matteo, ultimo grande latitante di mafia in circolazione, Catello coglie l\'occasione per rimettersi in gioco. Uomo furbo dalle cento maschere, instancabile illusionista che trasforma verità in menzogna e menzogna in verità, Catello dà vita a un unico quanto improbabile scambio epistolare con il latitante, del cui vuoto emotivo cerca d’approfittare. Un azzardo che con uno dei criminali più ricercati al mondo comporta un certo rischio…

Nel 2004, anno nel quale è ambientato Iddu, il capomafia Matteo Messina Denaro è per la rivista americana Forbes il terzo latitante più ricercato al mondo. Il suo curriculum criminale annovera decine di morti e stragi come quelle che hanno sconvolto l’Italia nel 1992 e nel 1993. “Con le persone che ho ucciso”, si vantava prima della latitanza, “potrei riempirci un mio cimitero privato”. Poi ha evitato inutili esibizioni. Ponderazione, mimetismo, complicità pervasive all’interno del suo territorio, la Sicilia occidentale, i pilastri della sua trentennale invisibilità. Nell’autunno del 2004 ha inizio il carteggio tra lui e un ex sindaco del suo paese d’origine, incaricato dai servizi segreti italiani di dar vita a una corrispondenza epistolare con il capomafia latitante, sfruttando l’antica consuetudine familiare fra l’ex sindaco e il padre di Matteo, il boss mafioso Francesco Messina Denaro. Grazie allo scambio epistolare tra il latitante e l’ex sindaco, gli investigatori individuano la rete di postini che proteggono e favoriscono la latitanza del boss. Sembra che la sua cattura sia a portata di mano ma nel 2006 la corrispondenza s’interrompe perché, come spesso succede in Sicilia, un servitore infedele dello Stato coinvolto nelle indagini su Matteo, svela alla stampa la collaborazione dell’ex sindaco con i servizi segreti e Matteo s’inabissa facendo nuovamente perdere le proprie tracce, fino al gennaio 2023 quando è arrestato in una clinica palermitana dove da due anni era in cura per un tumore all’intestino. Muore otto mesi dopo l’arresto a causa del tumore. Porta con sé nella tomba molti segreti, fra i più torbidi della storia recente d’Italia.

 

Genere: Drammatico

 

Regia: Fabio Grassadonia, Antonio Piazza

 

Attori: Toni Servillo, Elio Germano, Daniela Marra, Barbora Bobulova, Fausto Russo Alesi, Giuseppe Tantillo, Antonia Truppo, Tommaso Ragno, Betti Pedrazzi, Filippo Luna, Roberto De Francesco, Rosario Palazzolo, Vincenzo Ferrera, Chiara Bassermann, Gianluca Zaccaria

 

Durata:130 min

 

Critica: Un'opera il cui punto di forza è la regia con un finale che costringe a un'amara rilettura della vicenda Messina Denaro.

Iddu - L'ultimo è stato presentato in concorso al Festival di Venezia 2024. La colonna sonora del film è firmata dal cantautore Colapesce.

Il film è ispirato al libro del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro, Lettere a Svetonio edito da Salvatore Mugno nel 2008. Il titolo del film era originariamente Lettere a Catello.

Quando il piccolo Matteo deve affrontare il rito di iniziazione voluto dal padre, l’uccisione di un agnellino, non indietreggia come il fratello maggiore. Anzi, nel momento in cui affonda il coltello nella gola, sul suo volto si disegna un sorriso. Improvvisamente avvertiamo un brivido, come una specie di lampo oscuro. Una freddezza compiaciuta, crudele, come una sinistra fascinazione della morte. Ma forse è l’unica scena, in tutto Iddu, in cui avvertiamo l’essenza piena del male. Per il resto del film, questo Matteo Messina Denaro raccontato da Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, è tutt’altro che un uomo di spietata determinazione. Più volte si percepisce qualcos’altro, non dico un dubbio o un ripensamento di tipo morale, ma una sottile insicurezza rispetto al proprio ruolo, una specie di inadeguatezza. Come nella scena in cui deve far fuori uno dei suoi corrieri: dà segni di nervosismo per tutta la serata, poi, a cose fatte, ritorna a casa e chiede al padre “perché proprio io?”. Oppure quando, una volta diventato il boss numero uno, non risponde ai ripetuti appelli alla guerra e alla violenza della sorella sanguinaria. Per non parlare poi di tutta la gestione della corrispondenza con Catello Palumbo.

È un Matteo Messina Denaro in qualche modo sospeso sul baratro, già “ingabbiato” e votato al declino, costretto nella depressione ripetitiva della sua latitanza, a quell’ora d’aria nell’angusto cortile della vedova che lo ospita e che batte a macchina i pizzini. Ma soprattutto un uomo incapace di maturare un’identità autonoma rispetto all’ingombrante figura paterna, quel “faro” la cui scomparsa sembra lasciarlo nella costernazione e nell’incertezza più totali. In fondo, il boss è rimasto un bambino, che non a caso si riflette ne ‘u pupu, L’Efebo di Selinunte, la statua greca conservata presso il museo di Castelvetrano: il vero e proprio oggetto magico che attraversa il film. E, continuando in questa direzione, si potrebbe leggere tutto Iddu come un film sulla disfatta della paternità. Padri tirannici, padri assenti, come lo stesso Matteo nei confronti del figlio mai riconosciuto, padri putativi melliflui e infidi, come il padrino di battesimo Palumbo. Anzi sarà proprio lo “spregevole” Palumbo la figura cardine di queste distorsioni patriarcali: mentre tesse la sua ragnatela intorno al figlioccio boss, crea un rapporto quasi paterno con l’agente interpretata da Daniela Marra, manda alla rovina suo genero, povero ingenuo, e condanna, come sommo contrappasso, suo nipote a crescere senza un padre. È questo personaggio machiavellico, losco e ridicolo, shakespeariano e caricaturale, “l’infame più infame della storia dell’infamità”, il vero protagonista di Iddu, quello che muove cose. E, difatti, se Elio Germano è molto controllato, quasi bloccato nella fissità di certi sguardi, Toni Servillo presta a Catello Palumbo tutta la sua arte, nella gamma infinita che va dall’istinto istrionico alla piena misura.

Fatto sta che nella visione di Grassadonia e Piazza, la Sicilia è una terra in cui la linea genealogica è impazzita, i padri hanno abdicato e i figli hanno smarrito la rotta. La trasmissione è stata spezzata o meglio è stata inquinata dalle logiche malate del sopruso e del potere, quelle della mafia e delle istituzioni oscure e corrotte. Come sempre la loro scrittura rimodella il dato di realtà, la storia, con la forza dell’invenzione. Ma se in Sicilian Ghost Story la chiave fantastica era una specie di rivolta contro l’orrore della cronaca, qui la deformazione romanzesca piega verso il grottesco, in un’ironia che si fa sarcasmo e che disegna una galleria di maschere ottuse e inquietanti. Però non è un semplice ritorno a registri e schemi di certo cinema politico italiano. Perché lo sguardo di Grassadonia e Piazza ha un’originalità autentica, sa costruire la tensione nei momenti dell’azione, ma soprattutto gioca su una molteplicità di prospettive: un realismo di fondo che si coniuga a una specie di astrazione nella gestione degli spazi, del décor, dei costumi e dei colori, che si stratifica di simboli, di rimandi a un orizzonte mitico, ancestrale. Certo, a differenza del film precedente, non sembra esserci molto margine di sovversione. E qualcosa, ogni tanto, sembra andare verso l’eccesso, sfuggire dalle mani. Eppure, in Iddu c’è la libertà di una rilettura, di un’interpretazione, di un pensiero che può rischiare anche il tradimento. Ma che è soprattutto un sano atto di coraggio.  TORNA ALLA HOME PAGE