
LA CITTA' PROIBITA
La Città Proibita, diretto da Gabriele Mainetti, segue la storia di Marcello (Enrico Borriello), giovane cuoco romano che lotta per tenere in piedi il ristorante di famiglia, sommerso dai debiti dopo la misteriosa scomparsa del padre Alfredo (Luca Zingaretti). Accanto a lui ci sono sua madre Lorena (Sabrina Ferilli) e Annibale (Marco Giallini), un uomo dai metodi discutibili che non nasconde il suo disprezzo per la comunità cinese del quartiere romano dell'Esquilino.
L'equilibrio precario della sua vita viene sconvolto dall'arrivo di Mei (Yaxi Liu), una ragazza cinese esperta di arti marziali, giunta a Roma per cercare la sorella Yun, finita nel giro della prostituzione e scomparsa misteriosamente. Determinata a scoprire la verità, Mei non si ferma davanti a nulla, mettendo sottosopra il ristorante La Città Proibita, gestito dall’enigmatico Wang, l'uomo che ha portato Yun in Italia. Il destino di Mei e Marcello si intreccia quando scoprono che Yun e Alfredo sono stati uccisi e sepolti nella periferia romana. Ma chi c'è dietro il delitto? La mafia cinese o qualcuno di ancora più vicino? Mentre affrontano insieme la pericolosa criminalità capitolina, tra loro cresce la tensione, alimentata dalle differenze culturali e dai pregiudizi. Ma in un mondo spietato, l'unico modo per sopravvivere è imparare a fidarsi l'uno dell'altra.
Genere: Azione, Commedia
Regia: Gabriele Mainetti
Attori: Enrico Borello, Yaxi Liu, Marco Giallini, Sabrina Ferilli, Shanshan Chunyu, Luca Zingaretti
Durata:135 min
Critica: La città proibita è un film riuscitissimo e sorprendente, ambizioso ma coi piedi per terra, dove tutto funziona e niente infastidisce.
Mainetti spinge tutto al massimo, gira benissimo anche l'azione e i combattimenti, adegua l'aspetto del film al registro delle varie scene e dei toni del racconto. Azione e sentimento vanno a braccetto, per raccontare una storia, un quartiere, una città e un mondo dove vanno lasciate alle spalle le pesanti eredità e le arrugginite tradizioni del passato diventate prigioni per rilanciare sé stessi (e la propria storia) verso il futuro.
La partenza è davvero folgorante: un prologo funzionale, e poi una bellissima e lunghissima sequenza che ci introduce il personaggio di Mei, inarrestabile nella ricerca di una sorella scomparsa e letale nell’uso del kung fu, e che ci mostra subito, a mille all’ora, quanto Mainetti sia capace di girare con competenza e soprattutto creatività (in una cucina si usa di tutto, dai wok alle grattugie passando per le friggitrici) le scene d’azione e di arti marziali.
Si vede, da queste scene, come Mainetti conosca bene, molto bene, i materiali originali, e si vede come sa applicare quella competenza a un contesto diverso quando, una volta che Mei esce dai luoghi dello scontro (un sotterraneo, un bordello, un ristorante, tutti collegati tra loro senza soluzione di continuità) e esce per strada, e la strada è una di quelle del rione Esquilino, rivelando che quel mondo nascosto che ci sembrava al 100% Cina è in realtà 100% Roma.
Da quel momento in avanti Mainetti mescola tutto: la Cina e Roma, il kung fu e i sentimenti, la commedia alla Steno e una storia di brutale vendetta, la violenza marziale e l’indolenza capitolina, il melodramma familiare e gli inghippi della malavita, i noodles con l’amatriciana.
In questa mescolanza, perfettamente gestita, c’è quella caratteristica tipica del cinema orientale di mettere assieme i generi più disparati, e quindi ancora una volta Mainetti omaggia il cinema da cui è partito (e lo fa anche nella struttura narrativa del suo film); ma c’è anche qualcosa di più, e di più locale se vogliamo, che fotografa perfettamente la grande, splendida confusione di un presente dove culture e tradizioni si intrecciano e accavallano e convivono, di cui appunto l’Esquilino romano, da anni, è una perfetto e concentrato esempio (lo raccontava già anni fa Tommaso Pincio nel suo ottimo romanzo “Cinacittà”).
“La città proibita” è il nome del ristorante cinese gestito dal malavitoso Wang che Mei sa essere responsabile della sparizione di sua sorella; a pochi passi, sotto i portici di piazza Vittorio, ce n’è un altro di ristorante, “Da Alfredo”, che è invece nello stile, nel cibo, nelle stoviglie, negli arredi e nei camerieri la quintessenza della trattoria romana de ‘na vorta, come quasi non ce ne sono più. È lì che Mei incontrerà Marcello, il figlio di Alfredo, l’uomo con cui sua sorella è sparita. Uniti dal destino e dalla relazione tra i loro familiari, Mei e Marcello dovranno cercare di capire che fine hanno fatto quei due, mentre tutto attorno l’Esquilino è un turbinio di bancarelle e vitalità, di etnie che convivono e lavorano, mentre i vecchi razzisti come Annibale, criminale di mezza tacca, uno di quelli di una malavita romana de ‘na vorta pure lei che però è legato alla famiglia di Marcello da sempre, sfrutta gli immigrati africani e se la prende coi cinesi, che considera rivali.
Tutto questo Mainetti lo racconta perché, certo, nel suo film l'unione tra le culture è sintetizzata in Mei e Marcello che finiscono con l’innamorarsi e girare per Roma di notte in Vespa come in Vacanze romane, ma anche perché - senza voler strombazzare proclami politici, ma semplicemente per un movimento naturale e spontaneo di umanità - sa che tutto questo mescolare e ibridare e far convivere è bellissimo, nel film come nella realtà, e quelli come Annibale, che sputano sentenze e rancori, sono dinosauri destinati (speriamo) a estinguersi, e le tante persone che sono arrivate da paesi lontani per vivere qui destinati (speriamo) a starci e starsi accanto senza più pensare a troppe differenze, ma facendo di quelle stesse differenze la ricchezza del proprio vivere.
Azione e sentimento vanno a braccetto, in questo film, per raccontare una storia, un quartiere, una città e un mondo dove vanno lasciate alle spalle le pesanti eredità e le arrugginite tradizioni del passato diventate prigioni per rilanciare sé stessi (e la propria storia) verso il futuro. Non era facile, tenere assieme tutto questo. Anche perché, ogni volta che La città proibita cambia stile e registro, Mainetti va fino in fondo, senza riserve: nell’azione, che è spettacolare e violenta; nel melodramma, dove le passioni sono cariche; nel romanticismo, che è semplice ma mai banale, e sempre sincero; nella commedia, dove le battute, spesso in romanesco, sono brucianti e azzeccate. Al tempo stesso, dentro a ogni situazione c’è sempre anche il filo che conduce alla successiva, e al nuovo tono (che poi è spesso anche un diverso tono cromatico, fotografico, stilistico) che questa avrà.
Quello che manca, per fortuna, rispetto ai film precedenti di Mainetti, è l’esagerazione, il grottesco, il sopra le righe fumettistico e compiaciuto, lo stare sempre quel tanto di troppo, per sbruffoneria, dentro una situazione o una scena: il che è probabilmente conseguenza del cambio di sceneggiatori, visto che qui Mainetti non ha più scritto col Nicola Guaglianone dei suoi primi due lavori, ma con Stefano Bises e Davide Serino. Ma anche al netto di tutto questo, La città proibita è un film davvero sorprendente per dimensione produttiva, capacità realizzativa, per il divertimento e l’emozione e le inquadrature che è capace di mettere sullo schermo, le risate che suscita, la capacità di mettere in bocca ai personaggi (cui Mainetti vuole sinceramente bene e che hanno una loro umanità, anche nel caso dei “cattivi”) battute che sono già tormentone non appena vengono pronunciate, per la qualità dell’azione marziale che mette in scena quando la protagonista Mei picchia qualcuno come un fabbro. Praticamente perfette le scelte di casting, non tanto e non solo i soliti nomi noti di contorno (Ferilli e Giallini), ma per i due giovani e poco noti protagonisti, Enrico Borello e Yaxi Liu. TORNA ALLA HOME PAGE